Travel GuRu Europa
Turismo, investire subito in tecnologie e infrastrutture
di Stefano Bartoli
DA LONDRA
L’equazione è semplice: l’Italia è al primo posto per quanto riguarda i Paesi che i turisti di molti Paesi vorrebbero visitare nelle loro prossime vacanze. I cittadini britannici, ad esempio, la sceglierebbero al 60 per cento, seguita da Stati Uniti (54%), Grecia (48) e Cuba (24), mentre se si restringe la ricerca agli operatori del settore i risultati vedono sempre in testa la Penisola, ma con l’inserimento, insieme ancora un volta agli Usa, della Spagna e il calo dal top della classifica, rispetto all’anno scorso, di Grecia e Turchia. Questi ed una miriade di altri dati sono emersi a Londra nei giorni scorsi dove, nella grande cornice di ExCel, proprio nel cuore della zona dei Docklands, si è svolto il World Travel Market 2017, il più grande appuntamento mondiale dedicato ai viaggi ed alle vacanze. Una grande esposizione dove praticamente tutti i Paesi del mondo hanno messo in vetrina le loro potenzialità turistiche: basta pensare che nei tre giorni della manifestazione si prevedeva la presenza di oltre 50mila tra visitatori specializzati e giornalisti, per un giro d’affari di quasi tre miliardi di sterline sotto forma di contratti portati a termine.
Ma il primo posto dell’Italia, con la Toscana che fa la parte del leone e vede Firenze saldamente piazzata nella “top 100” delle città di tutto il pianeta insieme alle “colleghe” Roma, Milano e Venezia, non può e non deve farci dormire sugli allori: i piccoli villaggi su cui si è puntato nell’arco di quest’anno, il cibo, il vino, in sostanza il cosiddetto “italian way of life” che, complice il calo di concorrenti ritenuti meno affidabili come Turchia, Egitto e Tunisia, cioè l’insieme delle situazioni che ha permesso una crescita del due per cento degli arrivi, non bastano più a garantirci un futuro roseo e in costante crescita, in pratica non ci consentirà di sfruttare all’infinito un’offerta unica che comprende, mare, montagne, laghi e naturalmente le più importanti città d’arte.
Innanzitutto, servono garanzie sul tema della sicurezza, anche quella di un semplice visitatore che vuole fare una foto al Colosseo od alla Torre di Pisa senza tenere la mano appoggiata sul portafoglio per paura che glielo rubino, un aspetto su cui, a Londra, ci sono state fatte molte domande. Ma il turista di oggi e di domani vuole anche altre certezze, come quella di avere una rete affidabile per la navigazione Internet e poter così prenotare o muoversi con facilità, anche semplicemente per una passeggiata in un centro storico con Google Maps, magari senza spendere una fortuna in roaming che, per tutti coloro che abitano al di fuori dell’Unione Europea, ha ancora costi proibitivi. Oltre a quella di un’offerta alberghiera in grado di rispondere a tutte le esigenze, dal lusso fino agli alloggi più popolari, come testimonia il successo di piattaforme come Airbnb, a cui si attribuisce anche gran parte dell’incremento degli arrivi di cui parlavamo prima.
Infine, last but not least, il capitolo infrastrutture per gli spostamenti, di cui la Toscana è forse l’esempio più tipico. Nella regione ci sono problemi su tutti e tre i fronti principali: le strade sono quelle che sono, con la Firenze-Pisa-Livorno del tutto inadeguata al traffico di oggi, così come le autostrade con alcuni autogrill che sembrano rimasti agli anni Cinquanta; i treni funzionano bene solo se si prendono le varie “frecce”, mentre per gli spostamenti regionali, di fronte ad un inglese o un francese, c’è quasi da vergognarsi; gli aerei, tra l’altro in forte crescita sia di domanda che di offerta, sembrano invece intrappolati tra l’aeroporto Galilei di Pisa che ha una pista adeguata, ma servizi per i passeggeri piuttosto carenti, e il Vespucci di Firenze che offre invece una hall abbastanza confortevole, ma una pista che, come tutti sanno, è completamente da ripensare.
Tornando all’Italia nel suo complesso, in questo quadro si inseriscono anche le stranezze della promozione: il Wtm di Londra aveva come sponsor principale l’Enit, l’ente nazionale del turismo, con un grande stand pieno di iniziative ed operatori, ma a poche decine di metri c’erano anche quelli ad esempio di Puglia e Sardegna, come se queste ultime regioni non facessero parte della Penisola.
Un brutto segnale, secondo me, specie se paragonato alla Francia presente con un vero e proprio “villaggio” in cui erano comprese praticamente tutte le offerte.
© immediateboarding.it
Ryan Air: ti assumo, ma se scioperi ti licenzio
di Stefano Bartoli
Non sono un esperto di Costituzione e non pretendo neanche di esserlo come quei milioni di italiani che lo diventarono all’improvviso in occasione del referendum del 4 dicembre dell’anno scorso, quello che avrebbe dovuto cambiare molti aspetti sostanziali della Carta che regola la vita della nostra povera Italia. Ma non bisogna essere certamente degli specialisti per interpretare un articolo tutto sommato semplice come il numero 40, ovvero quello che, recitando testualmente “Il diritto di sciopero si esercita....”, non fa altro che prendere chiaramente atto dell’esistenza del diritto stesso.
Bene, questo lungo preambolo per spiegare quella che ai nostri occhi appare semplicemente come un’assurdità. In sostanza, venerdì 27 ottobre la Federazione Italiana dei Trasporti (Fit) della Cisl ha proclamato uno sciopero, insieme alle società di recruiting ad essa collegate, di tutti i dipendenti Ryanair, la famosa e discussa compagnia aerea irlandese, già con la netta convinzione che sarà un flop, cioè che l’adesione, se l’agitazione sarà confermata, sarà ridotta ai minimi termini.
Sì, ed il motivo è presto detto e cioè chi sciopera rischia seriamente di essere licenziato, così come stabilito da una norma (per la precisione è il punto numero 33) inserita nei contratti dalla Workforce International Contractors, una delle agenzie che assumono gli assistenti di volo per conto del discusso vettore che in questi mesi sta annullando almeno 2mila voli lasciando a terra 400mila passeggeri, parole che non lasciano spazio ad equivoci interpretativi: «Nel caso in cui vi sia un’interruzione del servizio a causa di controversie o scioperi, il rapporto di lavoro verrà interrotto».
Ecco, nel mare delle polemiche di questi ultimi tempi su tanti diritti come quelli relativi ad elezioni corrette, al federalismo fiscale, alla tutela delle minoranze e perfino a varie forme di indipendenza dagli stati centralizzati, ben pochi soffermano la loro attenzione su quello forse più elementare (come si diceva, la stessa Costituzione italiana in fondo lo dà per scontato) come la possibilità di partecipare ad un’azione di protesta, ma anzi ne viene bloccata l’adesione addirittura al momento dell’assunzione. E tutto questo, visto che lo sciopero di Ryanair riguarda anche l’aeroporto Galileo Galilei di Pisa, anche nella civilissima Toscana dove, a parte pochi titoli di giornale, nessuno sembra porsi il problema di questo contrasto tra la legge generale e gli accordi individuali digeriti per forza da chi ha bisogno di lavorare.
Forse perché la low-cost irlandese muove nel Granducato un paio di milioni di passeggeri all’anno che non disdegnano affatto di pagare un passaggio in aereo una manciata di euro o almeno il meno possibile. E questo anche a costo di calpestare, insieme al portafoglio, la dignità stessa dei lavoratori.
Voli low-cost, un aperitivo che potrebbe rimanere indigesto
di Stefano Bartoli
“In Europa al prezzo di un aperitivo”. Francamente, non mi ricordo dove ho letto questo titolo. ma l’ho letto. Un titolo ad effetto che si riferisce ad una compagnia aerea che da primavera offrirà da Pisa biglietti promozionali a partire da 9 euro per raggiungere una qualche località di interesse turistico. Ora, sicuramente l’occasione è allettante e qualche fortunato passeggero ne approfitterà, ma lo spunto è buono per riaprire il discorso sul mondo del low-cost, una “stanza” sempre più affollata dove si rischia però di rimanere davvero con poca aria, quasi certamente insufficiente per tutti.
Si dirà “è il mercato, bellezza!”, “la gente vuole viaggiare risparmiando sull’aereo e spendendo i soldi avanzati magari in un buon ristorante” ed anche “chi se ne frega di un sedile più comodo ed una bustina di micragnosi salatini?”.
Purtroppo però il problema è molto più complesso e non si limita al caso Ryanair, il fin troppo famoso vettore irlandese che da qui a marzo lascerà a terra ben 400mila passeggeri per la decisione di annullare migliaia di voli. Sì, perché nel giro di pochi giorni, abbiamo assistito ad almeno due crolli celebri, ma soprattutto totali: quello della britannica Monarch Airlines, con oltre 110mila persone che riusciranno a tornare a casa solo se acquisteranno un altro biglietto, e della tedesca Airberlin, altro vettore in bancarotta che fermerà tutti i voli a partire dal prossimo 28 ottobre.
Michael O’Leary e la sua Ryanair (quasi due milioni di passeggeri solo a Pisa) per il momento invece se la sono cavata: mettendo da parte la sua abituale sicurezza e i toni talvolta un po’ troppo arroganti, in una missiva ai piloti ha lanciato l’invito a non mollare l’azienda impegnandosi a studiare un riallineamento degli stipendi a quelli di altre compagnie low cost, con aumenti salariali fino a 10mila euro l’anno ed una maggiore tutela in alcune clausole contrattuali riguardanti tutto il personale di volo, sia in materia di congedi per maternità o malattia. Insomma, prima l’esordio ormai molti anni fa all’attacco del mercato, poi la pretesa di non rispettare le regole sui contratti dei dipendenti e i rimborsi ai clienti in caso di disservizi, infine la resa al mercato stesso. Decisioni che, non è difficile immaginarlo, porteranno inevitabilmente anche all’aumento delle tariffe finali, magari tassando anche il portafoglio che si tiene in tasca.
Ma, come si diceva, la stanza si affolla sempre di più e in campo arriva anche la Norwegian Air che offre per questo autunno voli per Los Angeles ben al di sotto dei 200 euro e per New York perfino a 130, cioè se non al prezzo di un aperitivo magari a quello di una cena per due in un ristorante stellato. In questo quadro, la cosa che mi impressiona di più è comunque il silenzio delle società di gestione degli aeroporti, sempre pronte ad annunciare nuove rotte a prezzi da saldo, ma poco propense a sottolineare i problemi del low-cost, un mondo che forse non è finito, ma che non sarà più così tanto “low”.
Teniamolo ben presente se non vogliamo che quell’aperitivo in Europa finisca davvero con il rimanere indigesto.
Rayan Air: O'Leary che cavalca l'aeroplanino non basta più
di Stefano Bartoli
Gli amici e colleghi del Tirreno scherzavano sempre sulla mia avversione per Ryanair, pensando che il mio fosse solo un atteggiamento un po’ snob visto che ho sempre preferito per i miei tanti viaggi le compagnie tradizionali. All’inizio, come ho scritto anch’io in tanti pezzi, dalle compagnie di gestione degli aeroporti ci raccontavano che quei voli a un centesimo, un euro, dieci euro e così via erano offerti grazie ad un’attenta politica di risparmio: innanzitutto il no-frills, cioe il servizio “senza fronzoli” ridotto all’essenziale, e batoste per chi ordinava anche un semplice caffè a bordo; il mitico O’Leary che diceva di avere un ufficio in un vano sotto una rampa di scale e di muoversi solo in taxi; l’uso di aeroporti alternativi; la vendita di gratta e vinci a bordo e di ticket per i trasporti a terra; l’esclusiva vendita dei biglietti aerei online; la rinuncia ad ogni diritto riservato ai passeggeri delle compagnie tradizionali e soprattutto di quelle aderenti alla Iata; l’uso di aerei dello stesso tipo che permetteva di ridurre i costi di manutenzione.
Poi si è scoperto che tutto questo era accompagnato da bassi stipendi, contratti “irlandesi” più favorevoli che nel resto d’Europa, rifiuto d’imbarco per chi sgarrava anche di un solo secondo sui tempi di check-in, politica rigidissima sul bagaglio, supplementi che apparivano e sparivano nella home page, senza dimenticare che, sull’onda del successo, anche gli aeroporti aprivano il portafoglio, magari per pagare una campagna pubblicitaria. Il tutto non sempre ben evidenziato dai media che si limitavano spesso a raccontare solo la parte folcloristica delle vero o false intenzioni di O’Leary, tipo i gabinetti a pagamento a bordo o i viaggi aerei in piedi appoggiati ad una specie di barella, cose impossibili legalmente, ma che conquistavano paginate e titoli sui giornali.
E ricordo quando scoppiò il bubbone di quel vulcano islandese dal nome impronunciabile per il quale rimasero a terra per giorni gli aerei di mezzo mondo, Ryanair compresa, e il solito O’Leary si rifiutò sistematicamente di pagare, come tutti i suoi colleghi, le spese a terra dei passeggeri. Io rimasi tre giorni a scrivere servizi per il Tirreno all’aeroporto di Pisa e la risposta a chi chiedeva rimborsi di ristoranti e alberghi era sempre del tipo “avete pagato una sciocchezza per il biglietto ed ora volete anche vitto ed alloggio?”, con cause legali che fioccavano una dopo l’altra.
Il tutto nel quadro di un modello di business che prevedeva e prevede, per far quadrare i conti, una crescita continua di rotte e frequenze, anche se poi un intelligente algoritmo ha sempre fatto in modo di cancellare voli troppo vuoti ed offrire soluzioni più vantaggiose a chi rimaneva senza posto.
È vero che adesso sono entrati in campo altri vettori, ma è altrettanto innegabile che è l’intero modello low-cost a scricchiolare e per un motivo molto semplice: low-cost non fa rima con real-cost, come sanno benissimo i milioni di passeggeri statunitensi che da tempo si trovano davanti viaggi “spacchettati” al massimo: si paga ad esempio la sola tariffa base in posti scomodi, oppure se si porta un bagaglio, se si vuole viaggiare uno accanto all’altro, se si desidera imbarcarsi per primi e perfino, molto presto, se si vorrà usare la cappelliera. A meno che si compri un biglietto in cui tutto questo è compreso...
Insomma, la festa sembra finita, resta da vedere cosa farà O’Leary per tranquillizzare i piloti che chiedono paghe in linea con il mercato reale: certamente non potrà rispondere con una delle sue solite sceneggiate a cavallo di un modellino o dentro il motore di un aereo.
Turismo, la vacanza sbagliata preoccupa più del mutuo
di Stefano Bartoli
DA FIRENZE
Chi parte dai paesi turisticamente piu pesanti per quanto riguarda l'Europa, ovvero Francia, Germania e Gran Bretagna, è piu preoccupato di una scelta sbagliata per quanto riguarda le vacanze, dall'albergo al vettore aereo, che del proprio mutuo sulla casa. È uno degl aspetti piu sorprendenti di questo mondo dei viaggi che cambia in continuazione emersi durante la Bto, la Borsa del turismo online che si svolge a Firenze e che e ormai arrivata alla sua nona edizione. Il dato, per certi versi curioso, arriva dal responsabile di questo particolare settore di Google, Javier Delgado Muerza, giunto per l'occasione dalla sede centrale di Mountain View, nel cuore della Silicon Valley.
D'altra parte, la Bto è diventata in pratica l'evento di riferimento dedicato al rapporto tra Travel & Innovation e questa edizione, ospitata come sempre, alla Fortezza da Basso di Firenze a cavallo tra novembre e dicembre, appare quanto mai interessante, visto lo sviluppo impetuoso del settore, ma soprattutto il travaso dal mondo tradizionale delle agenzie di viaggio a quello delle prenotazioni online. Intendiamoci, si viaggia ancora molto con l'aiuto degli specialisti, ma, la quota dei viaggi organizzati sul Web è in netta crescita e, sempre per il manager di Google, l'ossatura è ormai rappresentata non tanto dal normale personal computer, quanto piuttosto dagli smartphone, definiti una vera e propria chiave per questo tipo di accessi.
Giustificatissima quindi la presenza di alcuni dei maggiori marchi dell’industria turistica internazionale e dei big player del web come The Priceline Group, Airbnb, Homeaway, TripAdvisor, Expedia, Lastminute.com, HomeExchange.com.
L'edizione 2016 della Bto vede quindi quasi 150 eventi con il raddoppio degli spazi espositivi e l'inglese divenuta ormai la lingua ufficiale per i vari e affollatissimi appuntamenti. Da segnalare, tra le altre, la novità dei videogiochi ambientati nei luoghi turistici più spettacolari, in sostanza, un giro del mondo via PlayStation che può partire dalla Grande Muraglia cinese e finire tra i palazzi di Carrara.
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